lunedì 25 marzo 2024

Jenga


Ho già avuto modo di accennare che ho come il ricordo del momento esatto in cui tutto intorno a me ha cominciato a vacillare, ma andiamo con ordine. 

A gennaio 2018 mi venne assegnato un incarico di lavoro che non avrei mai voluto, ma l'ufficio del personale fu irremovibile e quindi dopo varie discussioni e negoziazioni giungemmo alla conclusione che avrei mantenuto quel ruolo (aggiuntivo oltre a quello che già svolgevo) per tutto il tempo necessario per trovare una persona cui affidarlo in pianta stabile. A convincermi che sarebbe stata comunque per me un'occasione di crescita fu proprio il mio capo che si mostrò disponibile a rinunciare alla mia piena collaborazione in funzione di un qualcosa che mi avrebbe sicuramente giovato.
A settembre dello stesso anno, il mio compagno - dopo alcune vicende che non mi sono mai state perfettamente chiare - perde il lavoro. Detto così potrebbe sembrare una tragedia in realtà lui la prese come una "manna piovuta dal cielo". Decide di non voler più lavorare con i ritmi frenetici che aveva mantenuto per tutta la sua vita lavorativa e che voleva dedicarsi di più al suo benessere psicofisico. Decide quindi di trasferirsi nella mia casa in campagna con l'intenzione di ristrutturarla in modo che un giorno avremmo potuto trasferirci li stabilmente. Da parte mia nulla questio, non perchè ne fossi pienamente convinta ma perchè ero ormai stanca di discutere con lui per ogni cosa e rassegnata ad accettare tutto perchè nella mi testa ero quella con più buon senso e quindi capace di adattarmi a qualsiasi situazione.  
A dicembre (esattamente il 27) mi fa un discorso accorato in cui mi dice che stare da solo in quella casa gli ha fatto capire che la nostra vita così come l'avevamo impostata non lo soddisfaceva, che sentiva il bisogno di ritrovarsi e che voleva farlo con il "cuore" libero perchè aveva voglia di ritrovare le emozioni che non avevamo più. La mia reazione fu di una freddezza e lucidità di cui io stessa mi spaventai. Non nego che ci furono delle discussioni molto accese ma fondamentalmente gli dissi che per me andava bene. Approfondirò in un altro momento se ce ne sarà occasione. 
Le mie amiche (con i loro mariti) si stringono attorno a me mi chiamano per darmi la possibilità di sfogare la pressione che inevitabilmente mi cresce dentro, nel frattempo continuo a lavorare senza far sapere a nessuno dei colleghi, tranne i miei "due capi" quello che stavo passando, ma solo per giustificarmi se qualche volta sembravo un po' scostante. Passa il 2019 e con il tempo l'attenzione delle amiche comincia un po' a scemare alcune di loro diradano le telefonate e io mi dico che è per rispettare i miei spazi.
A marzo 2020 arriva la pandemia e, al netto della preoccupazione che possa succedere qualcosa, l'obbligo di rimanere in casa e di rispettare il distanziamento sociale a me da un profondo sollievo. Affronto con serenità persino l'insorgere della demenza di mia madre; il fatto che stesse perdendo con incredibile velocità prima la memoria e poi qualsiasi contatto con la realtà, si mi faceva male, ma finalmente mi consentiva di tirare fuori tutta la tenerezza e l'affetto che non ci eravamo mai scambiate prima.
Passano due anni e finalmente nel 2022 comincia a tornare una parvenza di normalità tanto che una delle mie amiche esprime il desiderio di fare un viaggio tutte insieme in occasione dei suoi 60 anni. L'idea non mi piaceva affatto, ero fortemente convinta che il gruppo fosse troppo eterogeneo per una cosa del genere, ma accetto perchè è un'occasione speciale, è un suo desiderio e quindi vogli(am)o farla felice. Data fissata per la partenza 14 novembre. Varie discussioni sulla destinazione alla fine si decide per Siviglia. Sono stata io ad insistere per Siviglia perchè - pensavo - la conosco già per cui non mi lascerò coinvolgere dalle discussioni su dove andare e cosa fare.
A volte il fato manda dei segnali che noi ci ostiniamo a non riconoscere e quindi fatalmente il 10 ottobre mi prendo il covid. In quella settimana succede che la mia giovane collega minaccia di lasciare il lavoro ma cede alle lusinghe dell'ufficio del personale che le promette un futuro di soddisfazioni, lo stesso che aveva promesso a me 4 anni prima e mai realizzati. Sinceramente avrei preferito che andasse via, perchè rimanendo mi costringeva ad una competizione che non mi appartiene ma che sento pesarmi sulla testa. Tornando al mio covid, alcune amiche mi hanno chiesto se avessi bisogno di qualcosa ma altre mi hanno apertamente detto "peccato che sono lontana altrimenti ti avrei dato una mano almeno con la spesa" e io mi dico che è giusto così. Il covid passa e io comincio ad avere oltre ad un forte affanno anche delle forti aritmie, non mi sento bene, ho paura e quando  manifesto i mie timori tutti tendono a minimizzare: sarà l'effetto del covid, ma dai non ci pensare, stai tranquilla e così via. Arriva il giorno della partenza e ci troviamo tutte in aeroporto ma stranamente non c'è quella eccitazione che ci si aspetterebbe, e quella eccitazione non si manifesterà mai in nessun momento della nostra minivacanza tutte insieme. Da subito si nota quanto siamo scollate le une dalle altre ma il culmine della scollatura avviene l'ultimo giorno quando una di noi si accorge di aver smarrito la carta di identità. Non mi soffermerò sui fatti singolarmente, vado direttamente alla conclusione. Questo imprevisto diventa un affare di stato, l'occasione per giudicare (inopportunamente) e per manifestare (a mio parere) vecchi rancori. 

10 febbraio - la solitudine

La solitudine è una sensazione strana. Ho sempre avvertito un senso di solitudine ma quando è diventata una condizione effettiva, complice anche il covid che si è sovrapposto alla separazione, ho cominciato a considerarla piacevole, mi dava un senso di equilibrio ritrovato dopo anni passati a condividere tutto con un'altra persona; un periodo lungo in cui tutto si doveva decidere in due, fare in due, mediare, convincere. Tutto andava passato al vaglio di un'altra persona, prima con complicità, poi con senso del dovere, per finire col diventare insofferenza. In principio mi dicevo che la riluttanza a fare quanto richiedevo dipendeva dal fatto che avevamo interessi diversi, ma alla lunga ho cominciato a capire che era una negazione dei miei bisogni col fine di esercitare su di me un qualche controllo: sminuisco i tuoi bisogni ponendoti delle alternative più sensate, più divertenti, più utili. Era tutto sempre più di quello che avevo pensato. 

Oggi è diventata una sofferenza, la sento come una mancanza: manca il senso di appartenenza\partecipazione: non appartengo più a nessuno non faccio parte di un nucleo/famiglia/comunità e se non appartengo a nessuno non esisto. 

Come tutti ho di fatto contatti con diverse persone ma mi sento più che altro come un ospite nella vita degli altri dove non sempre mi permettono di entrare. 

28 gennaio 2024 - l'appuntamento

E' fatta, ho chiamato la psicologa ed ho fissato il primo appuntamento. Non so a cosa mi porterà, verso quale meta, ammesso che ve ne sia una, certo è che non potevo più andare avanti con questo mio stato d'animo, la confusione dei sentimenti, la frustrazione della solitudine, il rimuginio costante ed estenuante. 

Tutto è cominciato in un momento preciso, di cui parlerò più avanti se ce ne sarà l'occasione. E' stato il momento in cui i mattoncini del Jenga che compongono la mia vita hanno cominciato pericolosamente a vacillare, la torre ha cominciato a barcollare ed io ho scoperto di non avere più puntelli disponibili per sosternerla.  

Ed eccomi qua a scrivere.